In de Wulf
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- Mejillones con algas, levístico y flores
- Esferas de alubia de coco con jamon ibérico
Kobe Desramaults è il maggior valore emergente della cucina belga. Dopo la formazione con il grandissimo cuoco olandese Sergio Herman, a 23 anni è tornato alla brasserie materna, che era poco più di una trattoria, ubicata in piena campagna, lontano dal rumore mondano, a 40 chilometri da Lille, che poco a poco iniziò a trasformarsi in un accogliente ristorante rustico con un indubbio e crescente carattere. Conscio delle proprie possibilità, dimostrando capacità di sopportazione, profilando una strategia intelligente e facendo mostra di un rigore fuori dal comune, in tre anni ha ottenuto un importante successo di pubblico e il riconoscimento della stampa del Benelux, che vede il lui un futuro numero uno. E tutto fa pensare che sarà proprio così, poiché non si può essere giunti così in alto in così poco tempo e a soli 26 anni.
Kobe ha le idee chiare, sa che vuole diventare, si fissa negli chef più interessanti, studia le ultime tecniche, utilizza tecnologia punta e, ciò che è vitale, ha la capacità di assimilare e nel contempo di mostrare un criterio proprio. Sta cercando uno stile personale e di fatto i suoi piatti lo lasciano intravedere, esprimono lucidità. Sia a livello gustativo che cromatico ha la dote innata del buon gusto. Gode delle complessità, ma senza eccessi. Forse potrebbe, e persino dovrebbe, essenzializzare un po’ le preparazioni; è questione di tempo. La verità è che non lesina sforzi né elementi nel momento di costruire i piatti; dei piatti sempre immaginativi e belli, persino altisonanti. Curiosamente, una culinaria che guarda tanto all’avanguardia, che è tanto compromessa con l’arte gastronomica, proietta sempre, senza eccezioni, gusti facili, accettabili, delicati, armonici. Non si permette eccentrici contrasti. In consonanza con la semplicità e con la capacità di riflessione che lo caratterizza, preferisce convincere piuttosto che stupire.
Il menu degustazione è lunghissimo e, piatto dopo piatto, mantiene una regolarità encomiabile; il che dice molto del carattere e della costanza dello chef. Ci sono momenti brillanti, come il foie gras d’oro: una crema bagnata in oro con perle nitro di mais. Immacolate e molto tipiche del sud le alici marinate in sale e semicrude su una brunoise di pomodoro, anch’esso marinato, con gelato e sabbia di olio d’oliva. Le cozze con alghe, levistico, sedano rapa, mela, fiori e un brodo di profondo carattere marinaro costituiscono un’esaltazione della natura e della naturalezza. Da manuale le sfere cremose di fagioli coco con prosciutto iberico, brodo di maiale e aglio dorato, nocciole tenere, quinoa croccante, sabbia del legume,... e un’infinità di sfumature esposte con supina armonia. La triglia con un risotto ai murici ne conferma il virtuosismo; come il piccione di Anjou, dalle carni succulente e tenere, perfettamente laccato con sciroppo d’aceto di cabernet sauvignon e ornato, tra l’altro, da dadini di barbabietola, cipolline glassate e funghi.
Insomma, un giovane con impeto, volontà, idee, chiaroveggenza,... destinato a distinguersi e a distinguere la gastronomia.