Le Louis XV
lelouisxv@alain-ducasse.com
- Caldo de lechuga y berros de fuente, raviolis y ñoquis tiernos de ricotta, láminas de pan
- Calamares con alcachofas, limón confitado, olivas negras y alcaparras
- Conejo al vino tinto con radicchio trevisano a la plancha y panisses
- Cordero de leche de los Pirineos realzado con pimiento de Espelette, salteado de tripas, habitas y cebollinos con ajedrea.
È il ristorante con la clientela più ricca del mondo. Basta dare un’occhiata al parcheggio: Ferrari, Rolls Royce... sembra il Gran Premio Mondiale del Lusso. 500.000 bottiglie per un totale di 6.100 referenze attendono i campioni. E sono molti: solo di champagne se ne stappano circa 100.000 all’anno fra l’Hôtel de Paris e l’Hermitage, che hanno in comune il più grande tesoro vinicolo nel mondo della ristorazione. A Montecarlo chi non è principe è re, o anche di più. Chi, se no, potrebbe mangiare con posate bagnate in oro in un rutilante salone tutto rivestito con foglia d’oro? E con una corte di solleciti camerieri in alta uniforme, tagliata e cucita per l’occasione? Per una così fantastica realtà – che ha molto più di realtà che di fantasia - Alain Ducasse e la Société des Bains de Mer hanno costruito il palazzo dei sogni di tutti i principi di questo nostro mondo. Di Alain Ducasse andranno ripetuti alcuni fra i molti elogi che si è meritato. La sua preclara intelligenza lo ha portato a creare la più famosa e prestigiosa multinazionale di alta cucina del mondo. Dirige decine di esercizi, fra cui è d’obbligo citare almeno i più rinomati: Alain Ducasse au Plaza Athénée e Le Louis XV, entrambi insigniti delle tre stelle della guida Michelin. In verità, sia a Parigi che a Monaco egli ha saputo superare abbondantemente i parametri della guida rossa: gliene potrebbero tranquillamente dare cinque, di stelle, per essere coerenti con la loro filosofia editoriale. Ci stanno tutte. Ma alla Michelin non hanno mai pensato che si potesse arrivare così lontano. È evidente che per metter su un simile impero occorre avere una mente privilegiata, eccezionale, in grado di sapere, in primo luogo, cosa amano e vogliono i multimilionari della Terra. E questo, Ducasse, lo sa meglio di nessun altro: i fatti parlano chiaro. E poi bisogna saper organizzare tutta una struttura professionale pienamente rispondente alle aspettative e alle tante, tantissime esigenze che sorgono tutti i giorni. Nessuno mai si è neanche sognato di avere la sua capacità di creare e dirigere uno staff. Ha formato la scuola alberghiera più importante del pianeta, senza la quale non avrebbe potuto far trionfare il suo impero. Freddo, cerebrale, matematico... infallibile. La sua è una cucina umana perfetta. Rispettosa e persino ossequiosa nei confronti del patrimonio culturale, universale o locale che sia. Con una forte tendenza a prendere ispirazione dalle ricette popolari. Ricrea piatti dalle profondissime tradizioni snellendoli e raffinandoli fino all’inverosimile. In definitiva, sibaritizza – e in che modo! – l’eredità di Escoffier e, soprattutto, i piatti della sua terra, con particolare predilezione per quelli mediterranei. È un evoluzionista per il quale la memoria gustativa non è mai in discussione. Forma e riforma sottilizzando all’infinito. Ed anche solidificando la sua opera sulla base della più eccelsa materia prima del globo terracqueo. Non lesina un centesimo per avere le ostriche più oceaniche, i tartufi più esclusivi, i piccioni più squisiti... manicaretti trattati con precisione assoluta, quasi insuperabile. Tecnica al servizio del prodotto; complementi – contorni o salse che siano - trabocchevoli di erudizione, davvero eleganti ed armoniosi. Uno non può esimersi dall’esclamare entusiasta ad ogni piè sospinto: Che meraviglia! Chapeau, Monsieur Ducasse! Frank Cerruti interpreta quotidianamente con la delicatezza di un angelo la partitura del massimo esponente dell’attuale arte culinaria neoclassica. Due antipastini ti rubano subito il cuore dando prova della passione dello chef per il paesaggio e le tradizioni: ravioli ripieni alle erbe con limetta confettata, ed esuberanti crudités con salsa alle erbe (principalmente basilico) e parmigiano. Passando ai piatti centrali, ecco un tripudio di sublime, augusta naturalezza vegetale: squisito brodo di lattuga e crescioni in cui guazzano diversi capricci: ravioli verdi, gnocchi alla ricotta e piccoli ortaggi. Portentosi i calamaretti: minuscoli, da farne un sol boccone, esultanti di freschezza, saltati in amorevole compagnia di idilliaci contrasti: carciofi, limone di Mentone confettato, olive nere snocciolate e capperi, e in più, qua e là, qualche pennellata di salsa nera. Succulentissimo l’omaggio al baccalà, offerto in purissime e sugosissime lamelle, ed anche in gelatinose trippe magnificamente accompagnate: salsiccia, peperoni rossi, lattuga... goloso anzichenò. Fastoso per la qualità intrinseca e il virtuosismo sfoggiato, ed anche per laboriosità, l’agnello dei Pirenei – cotolette, spalla, lombata, animelle, rognone e frattaglie arrosto –, illeggiadrito da una spolveratina di peperone di Espelette; si propone immerso in un vero e proprio orto in cui risaltano le fave e la cipolla d’inverno alla santoreggia. Immenso. Di analogo livello è il nobilissimo coniglio, a tocchi, con salsa al vino rosso, radicchio trevigiano alla piastra e panisses. I dessert, le mignardises e i cioccolati sono espressione della miglior tecnica di pasticceria del pianeta. Così è, se vi pare, un banchetto nel palazzo di Luigi XV.