Cucina da cinema
Quando in spagnolo s’impiegano le parole “da cinema” come aggettivo per riferirsi a qualcosa, significa che questa, per la sua ricchezza, bellezza o lusso sembra più propria della finzione cinematografica che della vita reale. È stato l’arrivo del cinematografo che ha trasformato l’immagine fotografica al conferirle movimento proprio. E la cosa più straordinaria: questo movimento autonomo non è altri che una finzione, un trucco con il quale i fratelli Lumière ingannavano il cervello dei primi spettatori, poiché per la velocità di proiezione le immagini fisse che componevano la pellicola si percepivano come in movimento.
Ci sono similitudini tra il cinema e la gastronomia? Forse la frase che chiarisce meglio questa questione è stata pronunciata dallo psicologo e filosofo Hugo Munsterberg agli inizi del XX secolo: "Come la pittura è l’arte degli occhi e la musica quella delle orecchie, il cinema è l’arte della mente”. Perché combina magistralmente la luce e il colore della pittura, la scena del teatro, il copione letterario e il suono della musica. Crediamo che l’arte culinaria non giunga a tanto. È prossima ai sensi più istintivi; emoziona perché in essa intervengono soprattutto gli aromi, i sapori e le sensazioni tattili in bocca. Il movimento è poco importante; di fatto, la pellicola che registra l’operato di un gran cuoco è la carta del suo ristorante, plasmata nel menu degustazione, in cui ogni capoverso (aperitivi, antipasti, pesce, carne, dessert) è una sequenza e ogni piatto uno dei fotogrammi del film.
Già da tempo, certi cuochi famosi sono ossessionati dall’idea d’introdurre il movimento nel loro ricettario. Alcuni attraverso il recupero di questa antica prassi di cucinare davanti al commensale, in cui chi si muove è l’operatore quando miscela gli ingredienti del piatto. Si tratta di resuscitare questa prassi perversa, già quasi scomparsa, che portò la cucina francese a realizzare le crêpes flambées o la steak tartare nella sala del ristorante.
Nell’attualità, esempi analoghi sono le sferificazioni con alginato per ottenere caviale di melone, i gelati e cocktail (nitro-tè verde con mousse di lime di Heston Blumenthal; nitro-caipirinha di Ferran Adrià), realizzati con azoto liquido proprio sotto il naso dell’assorto cliente, che rimane praticamente ipnotizzato dalle gocce o dal fumo, e dai ritmici movimenti delle mani dell’operatore. Puro spettacolo, per immortalare il quale la fotografia risulta insufficiente, e uno si chiede: perché non fare un video?
Adesso l’ultimo, soprattutto con la finalità di lasciare attonito il commensale, è dotare gli alimenti di movimento proprio, un’idea già presente in alcuni piatti giapponesi tradizionali decorati con lamine micrometriche di tonnina o di tonno secco, che aleggiano al ricevere il flusso di vapore proveniente dalla pasta o dalla melanzana sottostante. Naturalmente il processo è quasi impercettibile e la macchina fotografica a ben poco serve.
In qualche ristorante spagnolo si effettuano esperimenti con effetti simili. L’operatore, normalmente un cameriere, non agisce, se non per avviare il processo. Il cliente osserva attonito o, al massimo, collabora all’inizio dello show. Sia liberando i vapori di gas carbonico a partire dal ghiaccio secco a -50 ºC depositato nel fondo di un cilindro da pasticcere sino a provocare una cascata di bollicine come nell’abracadabrante frutta pomposa di Arzak; sia preparando con caramello soffiato e oro o argento in polvere un’allucinante lampadina con sapore che si deve spaccare, come fa José Ramón Andrés nei suoi ristoranti di Washington, o rompendo una sfera dello stesso caramello per lasciar uscire il fumo preventivamente collocato dai fratelli Roca sull’aromatico gelato di funghi porcini alla brace di El Celler de Can Roca. Qui ormai si dubita persino se il video avrebbe sufficiente qualità e risoluzione per captare tutti i dettagli. Si dovrebbe filmare su pellicola. Indubbiamente cucina da cinema... ma molta attenzione a non esagerare facendo spettacolo perché, anche se nelle vigne del Signore c’è di tutto, non sia mai che gli aromi, i sapori e le consistenze finiscano per essere la cosa meno importante dello show. Se per il bene di tutti “lo spettacolo deve continuare", teniamo ben presente che l’emozione gastronomica non è solo questione di vista.