Ostriche all’uva
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Pedro Subijana ha avuto dal 2000 un periodo di dolce ispirazione che ha permesso una serie di Piatti dell’Anno: uova con caviale su purè di cavolfiore e burro alla cipollina, agnello arrosto disossato servito con una nuvola di patate e insalata gelatinosa al dente, calamaretti marinati con minestra di cipolla al parmigiano e riso venere con seppia e acetose.
Questa ansia di superamento ha come ultima testimonianza le ostriche all’uva, una trilogia fantastica che offre visioni galattiche costruite con i frutti di mare e la frutta. Nello stesso piatto appare un’ostrica su una granita acidulata di vino bianco a forma di medaglione, un’altra in insalata assieme a un frutto diviso a metà, sbucciato e senza semi, e una terza galleggiando su una minestra calda di mosto. Il che suppone un gioco di spazi e di temperature. Si articola bellamente in tre punti che fanno immaginare un triangolo equilatero. E viene offerta in tre sensazioni: gelata, a temperatura ambiente e calda, che contribuiscono a dimostrare come le ostriche accettano le diverse temperature. E questi contorni o salse (poiché si possono definire in entrambi i modi) appaiono sempre integrati con il frutto di mare, formando un dualismo di ingredienti principali, che offrono una complessità gustativa e tattile impattante. Strutture molto diverse e sapori variopinti all’interno di una stessa identità, che propone sfumature agrodolci estremamente piacevoli tanto da godere come difficili da comprendere, in quanto esaltano sensazioni sconosciute e difficilmente accettabili che richiedono una grande apertura mentale del commensale e un palato in grado di valutare sapori totalmente sconosciuti.