Che ci sia in giro molta falsità, mediale e culinaria, non vuol dire che sia tutto falso. Anzi

Nulla di nuovo ha detto Santi Santamaria che non avessimo criticato già prima e in diverse occasioni. Il suo merito? Il coraggio dimostrato, l’aver espresso a viso aperto e in pubblico considerazioni amare e scomode che, curiosamente, quasi nessuno ha osato ribattere. Con che risultato? Un impatto notevole. Che un cuoco faccia da coscienza dei suoi colleghi, demistificando l’onorabilità di una professione, costituisce un proclama eccezionale, di grande merito. Detto questo, tutto risulta assai discutibile. Non entriamo ora in una valutazione dei motivi che hanno potuto propiziare questa denuncia, dei suoi possibili fini, né vogliamo dire adesso se il ristoratore di Can Fabes dia o meno il buon esempio. Al di là dei soggettivismi e delle possibili letture, esistono fatti incontrovertibili e denunciabili.
È evidente che stiamo assistendo ad un declino allarmante della materia prima in cucina. A causa dell’estinzione delle risorse naturali, della standardizzazione della produzione... per molti motivi. Non ultimo un atteggiamento chiarissimo che riscontriamo in moltissimi cuochi. Motivi economici – ridurre i costi, aumentare i margini di guadagno, conservare le derrate per lunghi periodi, ecc. -, ma anche motivi di evidente alterigia: la spocchia di moltissimi professionisti che vogliono dimostrare di essere capaci di fare miracoli indipendentemente dalla qualità degli ingredienti che impiegano. Il che non toglie che in futuro vi sarà una culinaria con materia prima ed una senza, per quanto gli ortodossi vogliano negare l’eterodossia della realtà. Ma una cosa è essere consapevoli di ciò, ed un’altra, affatto diversa, è vendere surgelato come fresco, pesce di allevamento come selvatico, succedanei come autentici, ecc. Questo è mentire, prendere per i fondelli la clientela, disprezzarne le conoscenze e la sensibilità. E questa frode, spessissimo, è comune a tutti gli stili culinari e a tutti i livelli della ristorazione, senza distinzioni di prezzo né di prestigio.
Lo abbiamo detto mille e una volta: un’elevata percentuale di cuochi famosi non cucina. Anzi: alcuni nomi celebri non prendono in mano una padella da decenni. Ma c’è di peggio: è allarmante il numero di rinomati personaggi che non si fanno vedere nei loro ristoranti nemmeno nel servizio. Tutto questo e molto altro ancora è conseguenza del moltissimo tempo da essi dedicato alla gestione di business diversi, del gran numero di distrazioni in cui sono immersi, della mancanza di disciplina in certi casi... e del fatto di dare priorità al marketing, di lasciarsi assorbire dal ruolo mediale che amano rappresentare. Si dà più importanza alla foto che al lavoro. È un ruolo, quello del divo, già interpretato da personaggi di tutti gli stili. Paul Bocuse, tutta una sfilza di dinosauri della gastronomia che da tempo immemorabile si beano delle loro tre stelle Michelin – i nomi li sappiamo tutti – e, naturalmente, da un buon numero di artisti d’avanguardia.
Viviamo in una società in cui sembrano contare soltanto la fama e il denaro, e in cui si è perduta l’etica. A pochi importa la realizzazione personale attraverso il lavoro ben fatto. Imperano le apparenze e l’avidità. Di conseguenza tutto è lecito se si tratta di spuntare e di fare cassa. È la filosofia di un buon numero di impostori e perfino di alcuni chef dalle smisurate pretese di artista. Il fine giustifica i mezzi. Bisogna vendersi al mondo con l’etichetta del vero e proprio creatore. In questa messinscena Tizio o Caio ci vendono le loro bizzarrie con le ultime tendenze alla moda, che non sono altro, in fin dei conti, che versioni – più o meno, o nient’affatto valide – di fantasie altrui. E se bisogna mostrare una tetta durante la sfilata... meglio mostrarne due, e anche il culo, le palle, l’uccello... e chi più ne ha più ne metta. Per finire in tivù si fa di tutto, anche cantare o ballare in programmi di dubbio gusto. Pur di fare notizia sui giornali si raccontano le più grosse balle “scientifiche” ed “artistiche”. È verissimo: un certo settore dell’alta cucina ama mettersi in mostra. È gente convinta che il flacone e la pubblicità facciano vendere il profumo. Siamo giunti a questi estremi perché la televisione è ciarpame che interessa solo agli incolti, e la stampa scrive ciò che più interessa senza cognizione di causa né pudore. Il “New York Time” ha detto: nessuno mai in questa redazione ha saputo di cucina più di una qualsiasi casalinga. E lo stesso dicasi di...
Che la menzogna si sia ormai instaurata nella società e che per estensione la pratichino alcune decine di cuochi a livello internazionale non vuol dire che tutti gli chef avanguardisti o tradizionalisti siano dei falsari. La stragrande maggioranza non pecca di vanità, né di pretenziosità o divismo... I manipolatori sono eccezioni significative ed altisonanti. Gente prigioniera di ingiustificate manie di grandezza e di smisurate ambizioni di potere.
Una domanda attende ancora risposta: Qual è il ruolo della critica in tutto questo circo?