Rallentamento o Crisi?
Periodo di vigore da un articolo pubblicato nel 2005
Dagli inizi è evidente una significativa diminuzione del consumo nella ristorazione, fatto constatato da fornitori e proprietari leggermente allarmati. Interessa diverse nazioni d’Europa: Spagna, Francia, Italia, ... alcune più di altre. Affligge l’industria della ristorazione in genere, ma soprattutto gli stabilimenti più sontuosi e l’alta cucina. In una parola, le tavole più costose.
La congiuntura economica e sociale sta determinando questo fermo delle vendite ed è d’uopo chiederci se è la conseguenza di un rallentamento o se ci troviamo nell’anticamera di una crisi. È da vedere, il tempo darà e toglierà ragioni. L’unico che si sa per esperienza è che l’industria alberghiera di lusso è la prima ad essere colpita dalla riduzione delle spese che privati e aziende s’impongono.
Quelli che hanno optato per il fasto smisurato, per gli organici interminabili, per essere un ristorante tre stelle Michelin, in cui si valuta più la pompa che quello che c’è nel piatto, si trovano di fronte ad un mercato difficile, complicato, molto ridotto,... che rende impossibile l’attività.
Per sopperire a ciò che non guadagnano nell’attività di ogni giorno, con il menu, gli chef si sono trasformati in consulenti di grandi aziende, in gerenti di variopinti locali, in richiami pubblicitari,... Il risultato, salvo eccezioni eccezionali, è che stanno sempre di meno nel ristorante e, quando ci stanno, non si mettono ai fornelli. Tanta produttività esterna gli impedisce di pensare, di riflettere, di ideare,... col che stiamo attraversando un’autentica crisi di creatività. E, naturalmente, si sta perdendo il carattere artigianale del lavoro.
I cuochi, convertiti in artisti dai mezzi di comunicazione, che diffondono un messaggio idolatra e sciovinista senza la benché minima etica e nozione, assumono la farsa della vita e, come nei reality show televisivi, sono convinti che è più importante sembrare, far vedere, essere ben considerati dalla massa. Insomma, dato che non vanno mai alla sua tavola, né hanno criteri per squalificare, si contentano di commentare che sono stati da Tizio o da Caio. E nella credenza del loro privilegiato talento e con la necessità di uscire nella foto, si sono trasformati in esperti in chimica e fisica nucleare, facendo una gastronomia per snob, che sperano di trovare tra le stoviglie qualche disco volante. E, chiaramente, gli chef non hanno né la cultura, né i conoscimenti, né le possibilità, né l’immaginazione per svolgere altre professioni nell’ambito della cucina.
Con la credenza del loro potere divino, con la convinzione che la tecnica può fare tutto, che la materia prima non ha futuro, che il cliente è un abbuffone, creduti e indiosati, hanno soppresso il prodotto e la freschezza, lo hanno condannato all’ostracismo. E si occupano di fare illusionismo con gli accessori per continuare a far pagare sempre di più.
Tanta vanagloria ha portato a considerare e trattare il cliente come un pagano che si prostra ai piedi del signore e padrone del ristorante.
È d’uopo chiederci se non stiamo creando le condizioni che portano il rallentamento economico a una vera e propria crisi alberghiera e culinaria.