Asparagi arrosto o alla piastra
Un rombo alla gallega è meglio di un rombo alla griglia? Non abbiamo mai avuto questa sensazione, e non l’abbiamo nemmeno mai udita. Ciò che invece abbiamo udito, e non una, ma mille volte, è quanto sono buoni i cachelos e quant’è fine l’agliata. Ma il rombo, per enorme e fresco che fosse, per la pelle spessa e lo strato di grasso che avesse, persino per la precisione del punto di cottura o altro, non è stato mai il primo destinatario dell’elogio, e ancora meno dell’esclamazione di ammirazione.
La cottura in acqua è ugualmente cattiva sia per i pesci (obbedisce solo alla conservazione di ricette popolari antiche) che per le carni e gli ortaggi. I cuochi più intelligenti della Catalogna hanno deciso, già da molti anni, di preparare separatamente il pesce dal resto degli elementi del brodetto (o suquet). Probabilmente il marmitako non ha passato dall’essere un appetitoso rancio, perché gli chef baschi non hanno ancora provveduto a riformarlo. E i migliori rombi alla gallega sono quelli in cui il pesce viene arrostito e non cotto: qualche grande esempio già c’è.
Dopo aver mangiato degli incommensurabili carciofi alla brace a Vitoria, nel Sagartoki, in cui Senen González si è sommato alla rivoluzione della rosticceria basca, capeggiata da Etxebarri e da Elkano, ci chiediamo per quale motivo continuiamo a risciacquare in acqua questa verdura e altri vegetali, come si suole fare a Navarra, nel Versante Cantabrico, a Castiglia Leon, in Aragona e in tanti altri luoghi, in cui c’è l’abitudine di scemare il colore, il sapore e la consistenza degli ortaggi.
Perché continuiamo a lessare gli asparagi se siamo perfettamente consapevoli che è una delle peggiori forme di prepararli? Non è razionale. E non lo è per maggior ragione perché questo peccato mortale gastronomico non viene commesso da una persona qualsiasi (qualcosa comprensibile, anche se non accettabile) ma da un professionista, che non lesserebbe mai della carne o del pesce perché sa che è un procedimento elementare e rozzo che denatura irrimediabilmente la materia prima. E allora perché si continuano a lessare gli asparagi? Chiaro che adesso c’è l’attenuante che i più colti li tolgono dall’acqua quando sono al dente, ma non tanto al dente come si mangiano in Germania, Svizzera, Norvegia, ecc.
Gli asparagi, come qualsiasi ingrediente, hanno nella massima freschezza la propria norma di riferimento. Man mano che vanno passando i giorni al mercato variano di colore, acquistano una tonalità esterna marronata, mentre la pelle s’ispessisce e il sapore e la testura cambiando in peggio.
L’asparago di dimensioni medie è il più apprezzato a livello coquinario. Ha due vantaggi su quello molto voluminoso: è gustativamente più delicato e risulta molto meno fibroso. Per questo motivo è anche maggiormente sfruttabile, perché richiede un taglio minore nel fusto... anche se, volendo essere pignoli, superarne un impiego del 50% significa ridurne la qualità ideale.
A partire da qui, possono essere mangiati in diversi modi. Alla piastra conservano la propria identità. Lo stesso possiamo dire della cottura al forno. Interi, ne hanno più che abbastanza con otto minuti a 200 ºC; tagliati a fettine sottili unte con un filo d’olio extra vergine d’oliva e spolverati con sale Maldon richiedono quattro minuti. Anche crudi risultano delicati, ben tagliati in sottili trucioli o a rotelle di mezzo centimetro, mescolati con altri vegetali in insalata.